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Categoria: Novità

30 Aprile 2019
Rottura LCA Ambulatorio Dott Davide Bertolini

Quel “crack” che segna la rottura del legamento crociato anteriore è l’incubo degli sportivi. Significa, spesso, abbandonare l’attività sportiva preferita, cambiare abitudini, e soprattutto, la fine della carriera sportiva per gli atleti. Oggi però, con le giuste terapie, tornare in campo dopo una lesione del LCA, è possibile e reale. Ne parla il dottor Davide Bertolini <chirurgo… presso…>

 

Di fronte alla rottura del legamento crociato anteriore, non esiste una terapia uguale per tutti. «Una delle più frequenti lesioni del ginocchio nello sportivo è, senza dubbio, la rottura del legamento crociato anteriore (LCA) – spiega il dottor Davide Bertolini –. Riprendere a far sport dopo una lesione di questo tipo è possibile ma solo dopo aver affrontato con successo il giusto percorso di cura, in alcuni casi anche chirurgico, e di riabilitazione. Anche il recupero ha tempi e modalità diversi perchè dipende da molteplici fattori quali il tono muscolare, la gravità della lesione, l’età dello sportivo, la capacità di compensazione delle strutture tendinee e muscolari ancora sane, oltre alla motivazione dell’atleta e, non ultimo, al tipo di sport al quale la persona intende tornare».

 

Le lesioni al crociato e lo sport

Svolgere attività sportiva è possibile anche in presenza di una lesione al legamento crociato anteriore. «A patto di essere cauti e solo se l’articolazione ha mantenuto un buon livello di stabilità – prosegue il chirurgo –, è possibile fare certi tipi di attività fisica e movimenti. Se il paziente non ha esigenze di tornare a praticare sport agonistico o ad alti livelli, per esempio, può provare a compensare la lesione del LCA modificando le richieste funzionali del ginocchio, ovvero evitando di sottoporre il ginocchio a repentine rotazioni o a traumi, come può accadere nel calcetto o nella corsa. È possibile, ad esempio, nuotare, meglio a stile libero anzichè a rana. Fondamentali inoltre sono il tono muscolare, specie del quadricipite, e l’azione di contenimento svolta dagli altri legamenti del ginocchio che permettono una certa stabilità dell’articolazione. Nella lesione del crociato, però il vero problema – prosegue il dottor Davide Bertolini – è l’estensione del danno alle strutture adiacenti, quali cartilagini, legamenti circostanti o menischi. Per gli sportivi, questa situazione di instabilità significa rischio di un precoce processo artrosico».

 

La terapia e il recupero

Per i giovani sportivi, gli agonisti o gli amanti degli sport ad alta intensità, la soluzione terapeutica è l’intervento di ricostruzione, e solo in casi particolari, di trapianto del legamento. «L’intervento – prosegue l’esperto – permette di recuperare la stabilità del ginocchio, la completa capacità di movimento e tornare all’attività sportiva agli stessi livelli di prima della lesione. Dopo l’intervento, è fondamentale che il paziente segua con precisione le indicazioni previste dal programma di riabilitazione. Fino a qualche tempo fa, i programmi di riabilitazione erano per lo più standardizzati; oggi, invece, sono stati sostituiti da un approccio cosiddetto “a tappe” o step, basato sulla differente capacità di recupero di ciascuno. Una volta completata una tappa della riabilitazione, si passa alla successiva, indipendentemente da quanto tempo il paziente ci mette. Solo quando tutte le tappe sono state completate si può dire che il recupero sia avvenuto del tutto. In particolare per gli sportivi che desiderano tornare a fare attività fisica ad alti livelli, il recupero post-operatorio e la riabilitazione segue schemi diversi, sempre nel rispetto dei tempi della guarigione biologica dell’atleta. Infatti, solo rispettando i tempi giusti – conclude l’esperto – è possibile tornare in campo senza paura, recuperando le performance di prima della lesione».

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23 Aprile 2019
Prp, MSC e Lipocell - Dott Davide Bertolini

Negli ultimi anni, ad affiancare i normali approcci terapici si sono uniti due validi alleati:

  • il gel piastinico arricchito (Platelet Rich Plasma – PRP)
  • le cellule staminali mesenchimali (Mesenchymal Stem Cell – MSC)

Entrambi dotati di un alto potere rigenerativo, i due preparati possono essere usati tanto nei trattamenti conservativi come antiinfiammatori o lenitivi per il dolore, quanto come coadiuvanti nelle fasi successive a un intervento chirurgico.

 

Gel Piastrinico arricchito – PRP

Il PRP è una sostanza gelatinosa di derivazione ematica dotata di un grande potere rigenerante. Si ottiene dalla lavorazione del sangue della persona alla quale il PRP dovrà essere poi somministrato e si ricava grazie a un procedimento di centrifugazione e separazione cellulare che permette di isolare le piastrine dalle altre sostanze presenti nel sangue. «Il motivo per il quale si predilige la materia piastrinica da ogni altra – spiega il dottor Bertolini – risiede nell’alto potere rigenerativo di alcune proteine che contiene che hanno la capacità di stimolare in maniera importante la differenziazione e la proliferazione cellulare e in caso di lesioni o infiammazioni cartilaginee, una rapida rigenerazione tissutale.»

L’utilizzo del PRP permette di sfiammare l’articolazione in tempi più rapidi e a coloro che sono stati sottoposti ad un intervento di meniscectomia di recuperare la mobilità in maniera più agevole..0

 

Cellule Staminali Mesenchimali – MSC

Le MSC sono cellule indifferenziate e immature che sono presenti sia nel grasso corporeo che nel midollo osseo. La loro particolarità è di potersi differenziare, grazie a un procedimento di “intelligenza biologica”, trasformandosi in cellule specializzate e andando a formare il tessuto con il quale entrano in contatto. Se iniettate all’interno di un ginocchio infiammato od operato, leniscono l’infiammazione e stimolano la produzione di nuova cartilagine. I vantaggi sono:

  • tempi di guarigione più rapidi
  • minor ricorso alla chirurgia
  • ridotta complessità operativa

Il prelievo del grasso autologo, avviene attraverso liposuzione. Prelievo, separazione del grasso dalle cellule staminali e infiltrazione nella zona da trattare, richiedono dai 20 ai 40 minuti. Tutto questo è possibile sia grazie all’abilità del chirurgo che alla possibilità di disporre, di presidi medici all’avanguardia. Il Lipocell, ad esempio, è un kit monouso che permette il prelievo e la separazione del grasso dalle MSC garantendo un’alta qualità nella raffinazione.

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16 Aprile 2019
Meniscectomia Dott Davide Bertolini

La vita moderna ci vuole sempre più attivi e dinamici: lavoro, sport e tempo libero sono gli ambiti nei quali ci muoviamo ma bisogna fare attenzione. È fondamentale capire quando rallentare i ritmi per salvaguardare le nostre articolazioni, soprattutto quella del ginocchio, da lesioni o traumi. Ce ne parla il dottor Davide Bertolini, <primario… presso>

 

Il ginocchio, fondamentale per la deambulazione, sostiene, assieme alle altre strutture scheletriche e articolari degli arti inferiori, il peso del corpo. Sebbene robusto, le seguenti condizioni possono lederlo:

  • eccesso di attività sportiva
  • movimenti estremi compiuti senza un adeguato riscaldamento
  • attività lavorative faticanti
  • una continua e metodica assunzione di posizioni non naturali
  • traumi improvvisi

Tra le zone maggiormente esposte alle conseguenze di una lesione, vi sono i menischi.

 

I menischi: cosa sono?

I menischi sono dei cuscinetti di tessuto cartilagineo. Adagiati sul piatto tibiale, svolgono le seguenti funzioni:

  • ridurre l’attrito tra femore e tibia
  • assorbire gli urti dovuti alla corsa o alla camminata
  • permettere una perfetta sovrapponibilità dei capi ossei dell’articolazione
  • limitare la rotazione del ginocchio

Ogni ginocchio ne ha due, uno interno (mediale) e uno esterno (laterale). Quando una lesione o una serie di microtraumi li danneggiano possono insorgere dolore, gonfiore, difficoltà o incapacità nei movimenti.

 

Lesione ai menischi: come intervenire

«Le lesioni ai menischi – spiega il dottor Bertolini – nei più giovani, sono causate generalmente da traumi acuti conseguenti ad attività sportiva svolta in maniera scorretta o a eccessi nella sua pratica, mentre, nei più anziani sono solitamente di tipo degenerativo o infiammatorio.»

L’approccio terapeutico è differente a seconda dell’età e del tipo di lesione. Nei più anziani si predilige una cura di tipo conservativo, volta a salvaguardare l’articolazione e il menisco nella sua interezza, ma nei più giovani, la via chirurgica è, solitamente, la più praticata. «L’obiettivo resta sempre e comunque – afferma l’ortopedico – quello di preservare il menisco in modo da mantenere nell’articolazione la maggior quantità possibile di tessuto nativo. Per questo motivo l’intervento, eseguito in artroscopia, avrà come scopo la sutura o la rimozione della sola porzione danneggiata. La Meniscectomia, l’asportazione in toto del menisco rotto, resta sempre la soluzione estrema.»

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9 Aprile 2019
Chirurgia robotica Dott Davide Bertolini

Con l’avvento della chirurgia robotica, il futuro entra nel presente della chirurgia ortopedica. Apparecchiature sempre più sofisticate affiancano lo specialista nel suo lavoro, ma cosa possono fare esattamente questi robot? Quanto sono efficaci e, soprattutto, in che ambito confinano il chirurgo? Ce lo spiega il dottor Davide Bertolini <medico/primario… presso…>

 

Quando un danno alle cartilagini o alle terminazioni ossee del ginocchio, in genere conseguenza di artrosi o trauma, compromette in maniera irreversibile la mobilità dell’articolazione, l’intervento chirurgico protesico diviene, solitamente, l’unico percorso terapeutico veramente efficace e risolutivo. L’aspettativa di vita, sempre più elevata, l’aumento degli infortuni e un progressivo incremento di alcune patologie autoimmuni come l’artrite reumatoide, hanno provocato un aumento del numero di impianti di protesi al ginocchio, tanto da essere tra gli interventi più praticati. Volta al ripristino della mobilità, grazie alla rimozione dei tessuti danneggiati e alla loro sostituzione con placche metalliche, l’operazione, particolarmente delicata, richiede una precisione assoluta. Le protesi, tanto che rimpiazzino l’intera articolazione (tricompartimentali), quanto solamente una parte di essa (monocompartimentali), devono essere impiantate senza errori per evitare complicanze quali la protesi dolorosa o la sua mobilizzazione.

 

Robotica: il futuro in sala operatoria

La chirurgia robotica è la risposta della medicina moderna alla sempre maggior domanda di interventi di protesi al ginocchio. «Il funzionamento del sistema robotico – spiega il dottor Davide Bertolini – è concettualmente semplice. Si compone, sostanzialmente, di un’apparecchiatura che fa uso di un braccio meccanico articolato in grado di eseguire incisioni millimetriche direttamente sulle superfici ossee che dovranno ospitare le protesi». I vantaggi sono molteplici:

  • attenta e precisa pianificazione preventiva dell’intervento
  • possibilità di eseguire simulazioni prima di operare
  • minor invasività dell’azione chirurgica
  • riproducibilità (anche a distanza di tempo) delle azioni chirurgiche ed eliminazione di ogni errore post-programmazione
  • estrema precisione nelle incisioni e nei tagli
  • rimozione precisa e controllata del tessuto osseo
  • maggior stabilità dell’impianto protesico

tutto ciò, per il paziente, si traduce in:

  • cicatrice meno visibile
  • in caso di protesi monocompartimentale, preservazione dei legamenti con conseguente recupero completo della mobilità, pari a quella di un ginocchio non operato
  • minor dolore nelle fasi post-operatorie
  • minor ospedalizzazione
  • tempi di recupero brevi

 

Dal robot alla protesi di ginocchio, step-by-step

Il robot non è solo uno strumento chirurgico ma è utile anche nella pianificazione prima dell’intervento. «Le fasi pre-operatorie sono le più importanti – continua il dottor Bertolini -. Dopo un’accurata diagnosi che include la TAC 3D della zona da operare. si stabilisce il tipo di protesi da impiantare. A questo punto, il robot, grazie alle indicazioni del chirurgo, stabilisce con assoluta precisione i parametri di posizionamento della protesi. È fondamentale la precisione del chirurgo ortopedico – sottolinea l’esperto – perché in caso di errore, anche minimo, si rischia di compromettere la cinematica dell’articolazione, ovvero la dinamica del ginocchio. Una volta predefinito il piano di intervento, il robot permette di eseguire delle simulazioni per verificare la fattibilità dell’intervento e prevederne gli esiti».

 

A questo punto, è possibile predisporre la sala operatoria e preparare il paziente. Qui, una serie di telecamere a infrarossi acquisiranno lo scenario all’interno del quale il robot dovrà agire e solo allora, il braccio meccanico entrerà in azione. Sotto il controllo e la supervisione costante del chirurgo, il robot esegue, con assoluta precisione, le incisioni e le fresature necessarie all’impianto della protesi, asportando solo le parti di tessuto malato. «Senza il lavoro di pianificazione del chirurgo il robot non potrebbe operare – dice il dottor Davide Bertolini –. Nessun robot, infatti, sarà mai in grado di sostituire la professionalità e la discrezionalità del chirurgo che, ricordiamo, resta la sola e unica figura in grado di prendere le decisioni necessarie al buon esito dell’intervento».

 

Struttura anatomica del ginocchio: brevi cenni

Fondamentale per la flessione e l’estensione della gamba, il ginocchio è composto in larga parte da cartilagine, un tessuto connettivo molto resistente alla trazione e alla compressione che riveste le terminazioni ossee di femore e tibia e la parte interna della rotula. Dello stesso materiale sono fatti i menischi, due “cuscinetti” a forma di “C” che, adagiati sul piatto tibiale, compartecipano alla riduzione degli attriti dovuti al movimento. A nutrire e mantenere lubrificate le parti cartilaginee vi è il liquido sinoviale contenuto nella membrana sinoviale che riveste l’intera articolazione. Tendini e legamenti completano la struttura, mantenendo le parti in movimento, stabili e in asse.

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2 Aprile 2019
Sindrome femoro-rotulea - Dott Davide Bertolini

La rotula è un piccolo osso dalla forma triangolare posto nella parte anteriore del ginocchio. Può essere considerata il naturale moltiplicatore della forza muscolare del quadricipite ma quando il suo movimento non avviene in maniera corretta, il rischio di lesioni all’articolazione è elevato. È la sindrome femoro-rotulea e ce ne parla il dottor Davide Bertolini <primario… pressso>

 

«Nella mia lunga esperienza di ortopedico – spiega il dottor Bertolini – ho avuto modo di vedere quanto sia delicato l’equilibrio che governa il movimento della rotula e quali siano le conseguenze di una lesione della sua cartilagine. Oggi, in caso di lesioni della cartilagine, anche in regione femoro-rotulea, le opzioni terapeutiche sono numerose, e la soluzione chirurgica viene sempre più soppiantata da terapie conservative. In particolare, la più innovativa tra le terapie deriva dalla medicina rigenerativa che con le cellule staminali mesenchimali e il gel piastrinico arricchito (PRP) offre una nuova arma nella lotta alle lesioni delle cartilagini».

 

La rotula e le sue funzionalità

La rotula, oltre a fornire protezione agli elementi interni del ginocchio, svolge una funzione fondamentale nel dirigerne il movimento. Collega, grazie a due robusti tendini, la tibia al muscolo quadricipite della coscia e ne moltiplica la forza nelle fasi di estensione della gamba. Scorre all’interno di un incavo posto nella terminazione inferiore del femore (troclea femorale), e riesce a compiere i suoi movimenti grazie all’accoppiamento di due cuscinetti cartilaginei, posti sulla sua superficie interna e su quella terminale del femore. A mantenerla in sede durante il movimento serve l’azione contenitiva del muscolo e del tendine femorale, oltre ai legamenti chiamati alari (mediale e laterale).

 

La sindrome femoro-rotulea: significato e cause

Quando la rotula, nel suo movimento, si sposta di lato, l’attrito tra le superfici cartilaginee aumenta e lo sfregamento che ne consegue può portare a un precoce deterioramento dei tessuti connettivi. Lo spostamento della rotula può avere diverse cause:

 

congenite

  • rotula eccessivamente alta
  • troclea femorale poco contenitiva
  • ginocchia valghe, rivolte all’interno
  • piede pronato (con tallone reclinato verso l’interno)
  • tendine rotuleo eccessivamente lateralizzato
  • insufficiente azione di uno o di entrambi i legamenti mediali
  • scarsa robustezza del muscolo quadricipite

o esterne

  • eccessivo affaticamento
  • sessioni sportive estremamente pesanti (es. nella pallavolo)
  • traumi
  • scompensi articolari dovuti a rottura dei legamenti

 

Sintomi e diagnosi

i principali sintomi della sindrome femoro-rotulea sono:

  • dolore nella parte anteriore del ginocchio (generalmente nelle fasi di estensione della gamba) che aumenta nei momenti di massimo sforzo
  • instabilità dell’articolazione
  • blocco del ginocchio in fase di flessione

La diagnosi avviene in due fasi: prima con un esame visivo scolto da un medico in maniera da comprendere la struttura dell’articolazione in modo da escluderne difetti morfologici ed in seconda battuta compiendo esami diagnostici e strumentali (Rx, TC e Risonanza magnetica)

 

Trattamento

Il trattamento della sindrome femoro-rotulea varia a seconda dei casi: in persone con una conformazione della troclea femorale troppo aperta o non adatta a contenere in maniera stabile la rotula, l’intervento chirurgico è essenziale ma negli altri casi, l’approccio conservativo è preferibile e si concretizza con:

  • esercizi e fisioterapia per irrobustire le fasce muscolari che svolgono l’azione direttiva e contenitiva sulla rotula
  • in caso di dolore, l’uso di antidolorifici
  • infiltrazioni di acido ialuronico

Da alcuni anni, la medicina rigenerativa ha affiancato le normali terapie per la sindrome femoro-rotulea con l’impiego delle cellule staminali mesenchimali(MSC) e il gel piastrinico arricchito(PRP).

Le MSC sono cellule immature e indifferenziate in grado di trasformarsi, grazie a un procedimento di intelligenza biologica, nello stesso tipo di cellule con le quali vengono in contatto. Presenti sia nel grasso corporeo che nel midollo osseo, queste vengono prelevate, in genere, mediante liposuzione dallo stesso paziente che le riceverà, e per questo viene detto anche grasso autologo. Una volta estratte, le MSC vengono infiltrate nel ginocchio affetto da sindrome femoro-rotulea e il loro effetto sulle cartilagini sarà rigenerativo. Un principio analogo è alla base dell’utilizzo del PRP, una sostanza gelatinosa ricca di “fattori di crescita” ottenuta mediante raffinazione del sangue autologo da prelievo venoso della persona da trattare. Grazie alle MSC e ai fattori di crescita del PRP, è possibile stimolare la crescita di nuove cellule mature e differenziate tanto nelle aree cartilaginee lesionate quanto in altre zone del corpo ritardando o, in alcuni casi, scongiurando l’intervento chirurgico.

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29 Marzo 2019
Artrosi Dott Davide Bertolini

L’artrosi è una malattia degenerativa che colpisce gli strati di cartilagine articolare posti a rivestimento delle ossa delle articolazioni. Nel caso del ginocchio, la degenerazione può colpire anche i menischi. Come conseguenza della progressiva riduzione dello spessore cartilagineo vi è un aumento dell’attrito tra le parti ossee in movimento e lo sfregamento che ne deriva infiamma l’articolazione. Ad avviare il processo artrosico possono concorrere diverse circostanze: la predisposizione genetica all’osteoartrosi, l’associazione con altre forme di artrite e ovviamente, l’età. Ne parla il dottor Davide Bertolini, <ortopedico/specialista … presso… >.

 

Per quanto il naturale processo di invecchiamento e assottigliamento delle cartilagini tenda a colpire, di media, le persone sopra i 50 anni e per lo più di sesso femminile, giova far presente che, in taluni casi, ad essere affetti da artrite sono anche i soggetti al di sotto di quella fascia di età. Fratture, obesità e i traumi da attività sportive come lo sci, il calcio o il rugby, possono portare ad una riduzione o addirittura alla totale compromissione dei tessuti connettivi del ginocchio.

 

Sintomi, diagnosi e approccio terapeutico

I sintomi tipici di un’artrite sono: dolore, ridotta capacità di movimento, scricchiolii anomali durante la flessione o l’estensione del ginocchio e gonfiore (dovuto all’aumento della produzione di liquido sinoviale). La diagnosi, raggiungibile grazie a un esame obiettivo e a una corretta anamnesi, si perfeziona con un esame radiologico e, se necessario, con una risonanza magnetica. Quest’ultima, fondamentale per comprendere appieno l’entità della degenerazione, sarà anche determinante per stabilire il successivo percorso terapeutico. Gli approcci, in questo senso, sono essenzialmente due:

  • Chirurgico
  • Non chirurgico (conservativo)

L’obiettivo dell’approccio conservativo, non chirurgico, è la riduzione del dolore e dell’infiammazione. Alcuni trattamenti in questo senso sono:

  • somministrazione di antiinfiammatori
  • infiltrazioni con acido ialuronico
  • fisioterapia (volta all’aumento della mobilità articolare e del tono muscolare)
  • un piano di riduzione del peso corporeo (in caso di obesità)

Quando però, questi metodi non si rivelassero più sufficienti o quando la qualità di vita del paziente fosse compromessa a causa del dolore o delle difficoltà nel movimento, si dovrà far ricorso ad una soluzione di tipo chirurgico.

 

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Come funziona il ginocchio sano?

Il ginocchio è la più grande e importante articolazione sinoviale del corpo umano. Permette la flessione e l’estensione della gamba durante la corsa o la camminata e compartecipa, assieme alle altre strutture ossee e articolari degli arti inferiori, a sostenere il peso del corpo. Situata tra femore, tibia e rotula è costituita da numerosi tessuti di natura diversa, tutti anatomicamente conformati per darle mobilità. Innanzitutto, vi è la cartilagine, un tessuto elastico connettivo, particolarmente resistente alla trazione e alla pressione che riveste sia le terminazioni ossee di femore e tibia, sia la parte interna della rotula. Tra femore e tibia, adagiati sul piatto tibiale, vi sono i menischi, due cuscinetti cartilaginei a forma di “C”. La loro funzione è quella di partecipare alla riduzione degli attriti che si generano durante il movimento. A rivestire l’articolazione, una pellicola di liquido sinoviale che, oltre a lubrificare le sedi ove poggiano le parti in movimento, svolge l’importante funzione di nutrire e mantenere in perfetta efficienza le cartilagini. A stabilizzare e allineare l’articolazione, tendini e legamenti.

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22 Marzo 2019
Artrosi al ginocchio Dot Davide Bertolini

Oltre 28.000 interventi di protesi di ginocchio eseguiti nel 2018. Sono questi i numeri della chirurgia protesica di ginocchio secondo i dati ufficiali del Registro Italiano Artro-Protesi. Ad entrare in sala operatoria non sono solo anziani ma, più spesso, anche over50. E’ sempre necessario l’intervento di protesi? Risponde il dottor Davide Bertolini, <ortopedico/specialista … presso… >.

 

A una domanda così diretta, non sempre la risposta può essere altrettanto diretta. Valutare caso per caso, invece, è sempre necessario in modo da proporre al paziente la soluzione giusta in base alle proprie esigenze e aspettative dopo l’intervento. «La soluzione chirurgica più efficace, in caso di artrosi al ginocchio, prevede l’impianto di una protesi a sostituzione delle parti anatomiche danneggiate dall’usura della cartilagine e dell’osso – spiega il dott. Bertolini –. Rispetto ai primi interventi eseguiti circa 40 anni fa, oggi l’impianto di una protesi è mininvasivo, più rispettoso della fisionomia articolare e, grazie ai nuovi materiali con cui sono costruite le protesi, anche molto più sicure e longeve, basti pensare che una protesi può durare anche fino a 20 anni. La complessità dell’intervento dipende soprattutto dall’usura dell’articolazione – continua l’esperto -. Non sempre però è necessario intervenire sostituendo l’articolazione completa. Talvolta, basta sostituire solo la parte danneggiata con una piccola protesi chiamata monocompartimentale. Uno dei grandi vantaggi di queste protesi moderne, infatti, è proprio limitare l’invasività, grazie a piccole protesi “salva ginocchio” che rimpiazzano solo le parti ossee e cartilaginee danneggiate senza toccare quelle sane. A seconda che vadano a sostituire la parte terminale interna dell’articolazione o quella esterna, vengono dette, rispettivamente, “mediali” o “laterali”. Invece, quando il danno coinvolge l’intera articolazione, è necessario l’impianto di una protesi totale, detta “tricompartimentale”, che sostituisce l’intera articolazione del ginocchio».

 

Cosa aspettarsi dopo l’intervento

La protesi monocompartimentale permetta al paziente di recuperare appieno la sensazione e la dinamica della propria articolazione come se il ginocchio non fosse mai stato operato. Tuttavia, dopo l’intervento, è necessaria una mirata attività di riabilitazione, indispensabile per la ripresa motoria e il rinforzo del tono muscolare. «Dopo l’intervento – continua il dottor Davide Bertolini -, nel più breve tempo possibile, il paziente viene seguito da personale esperto nel muovere i primi passi durante il ricovero, così da iniziare a svolgere le più comuni attività quotidiane, come camminare, andare al bagno, sedersi al tavolo e andare a letto. Movimento ed esercizio fisico, che non sovraccarichino però il ginocchio, potranno favorire un più rapido e armonico recupero. Attività sportive come la corsa – conclude l’esperto – non sono consigliate ma altri sport, come ad esempio il nuoto, potrebbero essere considerati anche come parte della terapia riabilitativa stessa».

 

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